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“TRA L’INCUDINE E IL MARCELLO”
IL LIBRO IN OMAGGIO DI UN GRANDE ARTIGIANO “Nell’era dell’immagine e delle veline sgallettate, in una società che comunica il vuoto pneumatico di talune menti attraverso gli addottorati messaggi dei professionisti del nulla, mio padre ha deciso di parlare soltanto con i suoi lavori.” E’ sufficiente questa frase di Roberto Conticelli estratta dal volumetto “TRA L’INCUDINE E IL MARCELLO” edito da “INTERMEDIA” per introdurre il mondo di un grande artigiano che attraverso i suoi lavori ha diffuso l’immagine di Orvieto nel mondo. Buona parte della biografia di Marcello Conticelli è stata scritta dalla nipote Silvia, appassionata di computer e attenta ascoltatrice dei racconti del nonno. Il figlio Roberto, giornalista, ha provveduto a completare l’opera. Il sogno del bambino Marcello Conticelli era abbastanza ambizioso. Avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra. Le cose però andarono diversamente. “All’età di circa sette anni o poco più, prima di frequentare il corso di disegno e quello dei metalli, mio padre aveva pensato bene, come si faceva allora, di mandarmi da uno stagnaro…che lavorava la latta, per farmi apprendere un mestiere.” E’ questa la realtà: per imparare un mestiere per la vita bisogna iniziare da piccoli, quando la curiosità è forte e la mente fertile. Oggi una cosa del genere sarebbe impensabile, si tratterebbe di sfruttamento di lavoro minorile. Conticelli a vent’anni era in grado di produrre oggetti di alta oreficeria. Oggi, a parte il fatto che i lavoratori del ferro vanno scomparendo, i giovani di vent’anni freschi di studi sono poco vogliosi di apprendere un mestiere manuale che oltretutto richiede un bel po’ di sacrifici. <
> ha domandato il vescovo monsignor Scanavino nel corso della presentazione del libro. <
> Ottime intenzioni. Quel che manca probabilmente non è la buona volontà. Secondo gli addetti ai lavori: <
> La scuola fino a diciotto anni se da una parte garantisce a tutti una certa cultura, spesso si trasforma in perdita di tempo e di denaro per coloro che la frequentano solamente per sport. I sette anni di Conticelli, come di molti altri nel recente passato, costituiscono senz’altro un ingresso precoce nel mondo del lavoro, ma oggi siamo caduti nell’eccesso opposto tanto che molti dei nostri giovani con tanto di diploma preferiscono restare inoperosi piuttosto che ripiegare e fare mestieri manuali.…Tant’è che se troviamo dei lavoratori, soprattutto nell’edilizia, questi sono per lo più stranieri venuti dall’Est europeo. La stessa Soprintendenza archeologica per i lavori alle “Tombe etrusche alla Cannicella” è ricorsa a Rumeni e Albanesi. Il Comune di Orvieto ha fatto installare le centraline e le telecamere dei varchi elettronici, invece che da una ditta locale, da una ditta del Perugino: anche qui per lo più lavoratori stranieri. Per molti ragazzi delle passate generazioni spesso serviva la raccomandazione per entrare in una bottega artigiana, come anche in un’officina meccanica. E restavano “maschietti di bottega” per anni prima di poter accedere ai primi lavori. Senza retribuzione. Però la voglia di imparare era forte come grande la soddisfazione di fronte ad un buon risultato. Marcello Conticelli per quanto tempo sarà rimasto a girare la manovella della forgia prima che il maestro Ravelli gli assegnasse un lavoro da eseguire? Non importa saperlo. Significativo invece è quello che il ragazzo faceva nel frattempo. Con gli occhi sgranati osservava Ravelli: “Roba da rimanere incantati per la sapienza dei movimenti e la tecnica utilizzata.” Movimenti e tecnica assorbiti con tale incantamento già di per sé sono scuola intensa. Non c’è libro, teoria, spiegazione professorale che possa superare la vita della bottega. Il ragazzo acquisisce immediatamente e si appropria delle tecniche del maestro. “ Ricordo il mio primo lavoro di forgiatura” cita il testo “un portabandiera che ancora oggi è visibile all’esterno di un’abitazione di Piazza Cahen, davanti al monumento ai Caduti.” La biografia di Conticelli è un po’ anche la storia della nostra città, in particolare per la specificità dei personaggi che il suo lavoro gli ha fatto incontrare. Tra gli altri, Federico Cialfi, uno dei martiri di Camorena, all’epoca presidente della scuola di avviamento. E poi Lea Pacini, artefice del corteo storico, l’architetto Alberto Stramaccioni, e, grande, il papa Paolo VI per il quale, insieme a Luciano Coppola, realizzò uno splendido calice d’oro a forma di giglio, simbolo del duomo di Orvieto conosciuto nel mondo come il “Giglio d’oro” delle cattedrali. Bello anche il cofanetto di acciaio ageminato che lo conteneva. << Bravi artigiani. E’ un’opera splendida.>> fu l’apprezzamento di papa Montini. Sarà difficile raggiungere i livelli di questo grande artigiano. Per ora in famiglia c’è solamente Stefano, uno dei nipoti, che si avvia per la strada intrapreso dallo zio settantacinquenne. di Santina Muzi
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