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COMUNICATO STAMPA
A CARLA DEL PONTE IL PREMIO INTERNAZIONALE DIRITTI UMANI CITTA’ DI ORVIETO Riceviamo e pubblichiamo COMUNICATO STAMPA IL CORAGGIO DI DENUNCIARE Carla Del Ponte, ex-Procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda e l’ex-Jugoslavia, ad Orvieto nel giorno della commemorazione della Strage di Capaci. La sua Lectio magistralis: diritti umani e legalità. Nel momento in cui i diritti umani sono di scottante attualità non solo in Italia ma in tutto il mondo, Orvieto ha l’onore di ospitare Carla Del Ponte, ex-Procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda e l’ex-Jugoslavia, oggi Ambasciatore di Svizzera a Buenos Aires, alla quale verrà conferito il Premio Internazionale Diritti Umani “Città di Orvieto” edizione 2009, sabato 23 maggio a partire dalle ore 9.30 al Palazzo del Popolo. L’evento è davvero eccezionale e la figura di Carla Del Ponte richiede servizi di prevenzione, vigilanza, ordine e sicurezza pubblica particolari, finalizzati a garantire l’incolumità degli ospiti e la buona riuscita della manifestazione orvietana. Carla Del Ponte durante la sua attività di magistrato ha svolto un’ intensa azione di contrasto alla criminalità economica, al traffico internazionale di droga e al crimine organizzato concretizzatasi con diverse collaborazioni con gli organi giudiziari di altri paesi; in Italia, ad esempio, collaborò con il Giudice Giovanni Falcone (il 21 giugno 1989, la Del Ponte sfuggì provvidenzialmente ad un attentato nella casa del magistrato, a Palermo, nelle cui vicinanze era stato nascosto dell’esplosivo), quest’ultimo assassinato dalla mafia insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, nella Strage di Capaci, il 23 maggio 1992. E proprio il 23 maggio 2009, 17° anniversario dell’Assassinio di Giovanni Falcone, Carla Del Ponte terrà per gli studenti delle scuole superiori di Orvieto una Lectio magistralis sui Diritti Umani e la legalità CARLA DEL PONTE: LA SUA CACCIA AI BOIA DEI BALCANI Nel 2008 Carla Del Ponte scrive il libro “La caccia. Io e i criminali di guerra”, che fa la sua apparizione nelle librerie italiane e svizzere. Un testo atteso, che fa discutere poiché rivela le infinite difficoltà con cui l’ex PM del Tribunale dell’Aja ha dovuto fare i conti per assicurare alla giustizia i peggiori criminali delle guerre civili jugoslava e ruandese, svelandone tutti i drammatici e imbarazzanti retroscena. Dopo la pubblicazione del libro il Ministero degli Esteri di Berna ha vietato a Carla Del Ponte di presentare o fare qualunque tipo di pubblicità a “La caccia”, motivando tale decisione con l’osservazione secondo cui il testo contiene “affermazioni che riguardano la sua precedente attività, ma non possono essere fatte da un rappresentante del governo svizzero”. Il suo nuovo ruolo di ambasciatore della Svizzera in Argentina le impone di mostrare il massimo equilibrio nelle sue funzioni diplomatiche. CARLA DEL PONTE LA CACCIA. Io e i criminali di guerra A cura di Chuck Sudetic Traduzione di Bruno Amato Feltrinelli Note di Copertina Nessuno avrebbe immaginato, alla fine degli anni ottanta, con la caduta del Muro di Berlino, che l’Europa avrebbe conosciuto di nuovo il dramma della guerra civile e del genocidio. Di lì a poco, invece, la dissoluzione della ex repubblica federale jugoslava avrebbe scatenato i peggiori miasmi nazionalistici in una serie di conflitti che avrebbero insanguinato tutti gli anni novanta. Eccetto la Slovenia, in rapida sequenza Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo avrebbero acceso una guerra civile che nel corso degli anni avrebbe toccato punte di intensità drammatica, come per certi versi testimonia la strage di Srebenica ai danni di settemila bosniaci musulmani. Anche in Africa, nella regione dei Grandi laghi, nel 1994 si accende una drammatica guerra civile, un vero e proprio genocidio pianificato a tavolino, che vede in azione due etnie: tutsi e hutu. Una vera e propria carneficina avvenuta nel silenzio complice delle potenze occidentali e anche dell’Onu. Per giudicare i criminali di guerra, l’Onu nel maggio 1993 decide di istituire, all’Aja, un vero e proprio tribunale. Si tratta della prima corte istituita in Europa a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’incarico di pubblico ministero viene affidato a Carla Del Ponte. Il suo lavoro presso i tribunali delle Nazioni Unite ha permesso l’arresto e la conduzione in giudizio di decine di persone accusate di genocidio e altri crimini di guerra. Tra questi Slobodan Miloševic, presidente della Serbia, Théoneste Bagosora, capo militare degli hutu accusato di aver programmato il genocidio ruandese, e di istruire prove contro due tra i ricercati più importanti al mondo, Radovan Karadžic e il generale Ratko Mladic, accusato del massacro di Srebrenica. Prefazione / Introduzione da 1. Il muro di gomma fino al 1999 Sono andata a caccia di serpenti con i miei fratelli, Flavio e Angelo, da quando non avevo ancora dieci anni. Vipere e altre specie velenose vivono nei boschi e negli scoscesi affioramenti di granito che circondano il luogo dove sono nata: Bignasco, un paesino di circa duecento anime presso l’estremità superiore chiusa di una valle, la Valle Maggia, nelle Alpi svizzere sopra Locarno. Verso l’inizio degli anni cinquanta, una linea ferroviaria collegava Bignasco con il mondo esterno. Ogni settimana dovevo prendere il trenino azzurro che mi portava a fondovalle fino a Locarno, per le lezioni di piano. Anche se avevo solo nove anni quando ho cominciato a suonare il pianoforte, mia madre mi lasciava andare da sola alle lezioni, perché Locarno era ad appena un’ora di viaggio, e la Svizzera era un posto sicuro ed efficiente. Mio fratello maggiore, Flavio, presto scoprì un giardino zoologico vicino alla casa del maestro di piano. Accanto allo zoo c’era un laboratorio clinico che raccoglieva vipere vive per produrre un antidoto, l’antitossina, per il trattamento di chi era stato morso da un serpente. La cosa che ci pareva particolarmente interessante era il fatto che il laboratorio pagava cinquanta franchi svizzeri per ognuno di quei rettili color rame e bruno. Cinquanta franchi erano una bella somma negli anni cinquanta. Da anni i miei fratelli e io tormentavamo i serpenti. Attività non meno pericolosa che dar loro la caccia. Per incassare la taglia, dovevamo mantenere le vipere in vita per tutto il tragitto fino al laboratorio di Locarno, e non potevamo far sapere ai nostri genitori quello che stavamo combinando. Il nostro cane, un bastardo nero di nome Cliff, era un esperto nello stanare vipere, e non ne aveva paura anche se una volta era stato morsicato; Flavio gli aveva iniettato il siero antiveleno che portavamo sempre con noi per sicurezza, e Cliff dovette lottare tra la vita e la morte per due o tre giorni. Quando si fu ri- stabilito, i miei fratelli e io gli andavamo dietro su per il fianco della montagna. Immancabilmente Cliff ci portava a un serpente, che immobilizzavamo con un bastone biforcuto. Poi uno di noi lo afferrava da dietro la testa e, mentre quello si dimenava, lo gettavamo in un sacco e lo portavamo a casa. Ero io quella che andava regolarmente a Locarno, per cui consegnavo io le vipere al laboratorio, usando una scatola da scarpe con un piccolo buco per l’aria. Cacciavamo per tutta l’estate, e il nostro gruzzolo segreto cresceva. Ci comprammo una trappola e uno speciale contenitore di vetro per tenere i serpenti vivi sotto il letto di Flavio. E con il passare delle settimane sentivo che i miei fratelli cominciavano ad accettarmi come una loro pari. Una volta, mentre ero sul treno, una delle vipere prese a spingere il muso ritorto fuori dal foro dell’aria tentando di scappare. Era un campione di grossa taglia. Io continuavo a rimandarla dentro a colpi di libro di musica ma lei perseverava nel tentare di sgusciare via. Ero preoccupata, ma non avevo paura, e riuscii a portarla fino al laboratorio e a incassare i cinquanta franchi. Sapevo che era vietato far viaggiare in treno un serpente velenoso. Durante una di queste consegne, il controllore si insospettì. Mi chiese cosa avessi in quella scatola. Sapevo che non potevo dirgli una bugia, e gli spiegai che portavo una vipera. Sulle prime si mise a ridere: “I tuoi lo sanno?”. “Be’, no,” risposi, cercando di farlo apparire irrilevante. Dopo ogni fermata, il controllore faceva il giro del treno per bucare i biglietti e mi chiedeva come stesse il mio serpente. Dovette incontrare mia madre qualche giorno dopo, perché lei arrivò a casa infuriata e ci castigò, proibendoci di continuare nelle nostre battute di caccia. Ci mancarono, quegli incassi. […]
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