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LA GIORNATA DELLA MEMORIA
Noi che c’eravamo mai potremo dimenticare. Non solamente gli Ebrei ma anche tanti soldati italiani catturati sul fronte di guerra dopo l’8 settembre. sono morti o hanno rischiato di morire nei campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Tra questi, anche il babbo. Aveva 26 anni, lavorava in campagna e viveva la vita comune a tutti coloro che abitavano sui poggi di creta, senza acqua, senza strade praticabili, senza corrente elettrica, con il focolare come unico mezzo di riscaldamento dell’intera casa colonica. E con il carro agricolo come mezzo di trasporto. Comunque era felice. Si era sposato da pochi mesi ed entro la fine dell’anno la moglie avrebbe dato alla luce una creatura. Cosa chiedere di più? Ma non ebbe molto tempo per godere delle gioie famigliari perché venne richiamato alle armi e, dopo un rassicurante andare e tornare che gli aveva concesso di concepire una seconda creatura, venne definitivamente spedito al fronte. Nella casa tra le crete di Marchigiano alla mamma non rimase che portare avanti la gravidanza, il podere e… aspettare la posta dal fronte. Attesa vana perché mai ebbe notizie del marito lontano. Sul fronte di guerra nella penisola balcanica il babbo era stato catturato dai Tedeschi e, ingabbiato in un carro bestiame piombato, era stato deportato nei campi di prigionia della Germania…. Tornò a casa nel 1945. Era il tempo della mietitura e nella sera d’estate i campi di grano maturo ondeggiavano al vento come invasi da spiriti gioiosi. Io avevo compiuto quattro anni. Quel che non avevano fatto la guerra e la prigionia per poco non venne compiuto dal fratello minore che, alla vista di quel pezzente seminudo che avanzava tra il grano, scambiandolo per uno sbandato, imbracciò il moschetto pronto a sparare. E lo avrebbe ucciso se la Dora non fosse intervenuta guaendo e saltando di gioia incontro al padrone… IL TRENO Lontano il tempo di schiavi e pirati Rombando il treno arriva e spalanca le fauci. Gigante indifeso viene preso d’assalto e piene le viscere fischiando riparte. Non più fazzoletti sporgenti dagli occhi e niente più lacrime ‘che avvezza è la gente di oggi a partire. Eppure quel treno, figlio mio bello, diverso ogni volta ti porta da me. Eppure quel treno ‘sì tanto io ho preso che ora io temo soltanto l’odore. Eppure quel treno (quant’anni passati!) mio padre a la guerra un giorno portò… Bambino correva per stoppie roventi a vedere il gigante giù nella valle: -Ciao treno, ciao treno!- cantava dal poggio l’occhio invaghito. E quando piombato nel carro bestiame in lungo viaggio tra gente morente col cuore gridava: -Ciao treno, ciao treno!- con voce di ferro l’amico rispose: -Ciao bambino ti riconosco: fuggi lontano non ti fidare!- Fuggì rotolando tra spine e dirupi un giorno che il freddo mordeva sui fossi e uccelli di fuoco guardavano il ponte. Tra spari e “Feuer!” E grida da bocche squarciate fuggì rotolante la mente svanita fuggì rotolante dai corpi la vita. Ma lui brancolante un giorno tornò e all’odore del grano la casa trovò. Fuggita la mente tra sassi e dirupi andrem, padre mio, che torni ogni giorno al fischio del treno a guardare la valle a parlare col treno…. Neanche la luna Più insegue il cammino: nero il colle rotola paure senza più grano rotola paure senza speranze. Santina Muzi (da: “La casa dei silenzi” 1988, Gabrieli editore)
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