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“CANAPA ITALIANA”
NESSUNA NOSTALGIA IN “CANAPA ITALIANA” SOLO SPERANZA PER IL FUTURO Nessuna nostalgia per l’epoca della canapa. Non ho dimenticato la mezzadria. La canapa è finita negli anni Cinquanta del Novecento non sotanto per il veto dell’ONU e dell’America in particolare. La canapa è finita essenzialmente perché è finita la mezzadria, un sistema di conduzione agricola cessato nel corso degli anni sessanta del secolo scorso. E se la qualità della produzione di fibra di canapa italiana è stata così pregiata da raggiungere la prevalenza a livello mondiale lo si deve, oltre alle specie coltivate, in particolare al lavoro e alla macerazione nelle vorghe, portati avanti dall’intera famiglia. Come rimpiangere quell’epoca che, come sempre è accaduto nei ceti meno abbienti, ha privato dell’infanzia perfino i più piccoli, costretti ad imparare fin da subito a darsi da fare per rendersi utili al ménage familiare? Nessun rimpianto, solamente il desiderio di dare un contributo al miglioramento, con l’idea volta al nostro territorio dove molte terre sono così mal ridotte da sembrare senza un proprietario. Ho fatto un giro di perlustrazione durante le ricerche storiche condotte da un archivio all’altro. Bene. Ossia: male! In due anni di studi e perlustrazioni alla ricerca delle terre canapulate ho riscontrato che le terre dell’Alfina, per lo più proprietà dell’Opera del Duomo e dell’Ente Faina, sono completamente abbandonate. E che dire dei grandi proprietari terrieri? Sono andata a cercare Pugliano, località in cui documenti della Mensa Vescovile risalenti al 1600 testimoniano la presenza di canepuli. Non sapevo nemmeno dove fosse esattamente. Però sono stata fortunata perché ho incontrato qualcuno che me lo ha spiegato bene. Nessuno conosce la geografia del territorio come i vecchi mezzadri. Le mappe catastali possono aiutare ma non danno mai la certezza di essere giunti sui luoghi citati da documenti vecchi di secoli. Ebbene, Pugliano, situato in un angolo bellissimo tra la Padella e San Bartolomeo, due casali abbandonati, numerose grotte-abitazioni lungo tutto il perimetro della collina, non è che tanta terra, se si escude l’oliveto, completamente incolta. E il Piano? Che fine hanno fatto i quartenghi destinati a canepuli di proprietà del Comune? A parte i vigneti, che ormai scendono anche dalle “cretone” fino agli strapiombi e pescano acqua da ogni ruscello, tanti terreni del Piano sono lasciati alle erbe selvatiche, ai rovi e alla vegetazione spontanea. Stesso abbandono lungo la piana di Morrano e il percorso del Chiani. Perché non tornare alla canapa, che oltretutto occupa il terreno al massimo 180 giorni all’anno? L’idea sarebbe insulsa se non si pensasse anche ad un primo impianto di lavorazione in loco, magari utilizzando qualche capannone attualmente in disuso. Si potrebbe cominciare con i semi da destinatrre alle industrie dolciarie. Si potrebbe… Si potrebbero fare tante cose se solo ci fosse la volontà di investire per il bene della città e dei suoi attuali abitanti. O aspettiamo di tornare a vivere come gli enfiteuti di Pugliano dove, in una delle grotte abitate e date in enfiteusi, ho potuto vedere una specie di comignolo scavato nella roccia del soffitto con tanto di coperchio da muovere dal basso con una pertica, a seconda del vento, per la fuoriuscita del fumo? Santina Muzi
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